In qualsiasi discorso che lui fa (può essere per esempio riferito al suo futuro, riferito ai viaggi, riferito allo sport, ecc…) riesce sempre a trovare quella metafora giusta che ci permette di cogliere a pieno il fine e il senso di ciò che ci dice. Bellissima la metafora del vino rosso che si espande su una tovaglia bianca ad evocare quella domanda inerente al suo ancora incerto futuro che riempiva a poco a poco la sua mente. Merita anche particolare attenzione la metafora del “maiale in macelleria”, che incarna quella sua voglia di non buttare nulla, di vivere a pieno, di godersi ogni minima cosa, anche quella che a prima vista può sembrare la più inutile. Da queste metafore si intravede il vero Pietro, colui che vive la natura, colui che vive il reale senza contaminarlo di altro, colui che ha sempre vissuto nella cornice della sua masseria e che ne vanta la bellezza che la caratterizza, insomma colui che ama il cibo, e non quel cibo commerciale che siamo soliti vedere con più facilità e velocità, quasi come dei proiettili usciti caldi dalle boccucce di mitra agguerriti, ma quel cibo fatto di cose vere, di cose che hanno il loro perché, che nascondono in essi il sapore del passato. Sottolinea questa suggestiva caratteristica del cibo proprio quando descrive il sapore dei “Pierogi” e della “Czernuna”, tipiche pietanze polacche, nelle quali rimbomba l’eco di quel passato prossimo e remoto che dà un senso profondo ad un qualcosa che potrebbe sembrare apparentemente privo di senso. Quel cibo genuino che sembra essere la metafora dell’uomo perfetto, l’uomo che non ha bisogno di altro fuorché di sé stesso per vivere la vita nella sua totale manifestazione. L’uomo che ritrova l’uomo in un racconto di sole 26 pagine, lette tutte d’un fiato. Pietro ci descrive con semplicità l’essenza vera della “semplicità”, il dare importanza a ciò che nemmeno ci accorgiamo d’avere.